giovedì 6 dicembre 2007

Veneto: storie di migranti

Ovunque spazi con gli occhi trovi meraviglie, il mar Adriatico e le sue coste d’estate stipate di bagnanti d’ogni borgo, lo spettacolo da spezzarti il fiato delle vette delle Dolomiti e degli Altopiani rigogliosi, l’arte e lo splendore delle città come Venezia, Padova, Verona; quanta storia celano ognuna di queste dimore, quanto sacrificio è occorso ai veneti per rinvigorire i campi che le contornano, e sfamare l’Italia, e ancora, il sangue e le sofferenze dei reduci e dei civili durante le angherie della guerra, i caduti del Polesine per liberare una nazione dal nazi-fascismo, e poi le acque del Po che in quel maledetto novembre del 51’ tracimarono e invasero ogni cosa, e fu allora che in massa i veneti appresero definitivamente sulla loro pelle il significato della parola “straniero”.

Anche se molti rimasero in Italia (Lombardia e Piemonte) dovettero migrare, abbandonare quella terra verso la quale nutrivano un rapporto quasi viscerale e non fu semplice, come non lo fu anni prima per altri numerosissimi che lasciarono la regione per cercare al di là dell’oceano (Stati Uniti, e America Latina), la dignità di una vita decorosa che nemmeno le innumerevoli risorse paesaggistiche e umane del Veneto potevano a tutti garantire.
Minatori in Belgio, gelatai in Germania, sono pochi gli angoli d’Europa e del mondo che non siano stati percorsi da storie e da vissuti di veneti.
Sono quindi le nostre stesse radici che ci impongono una riflessione seria sulla questione dell’immigrazione perché noi stessi siamo stati migranti, lo siamo tutt’ora e lo saremo forse in futuro.

Non è pensabile che la cosiddetta ordinanza “antisbandati” del sindaco leghista di Cittadella, alla quale, a ruota hanno seguito proveddimenti e circolari di simile fattura, di altri sindaci del Veneto e della Lombardia, sia il frutto di una considerazione della nostra condizione di migranti perenni. L’ipocrisia altresì alberga fra le parole di questi signori, che si godono ora il momento di celebrità sollevato dalle loro illazioni e da provvedimenti anticostituzionali, xenofobi e fascisti, che i media main-stream cavalcano e servono sulla tavola calda degli italiani ininterrottamente fra speciali, tavole rotonde, talk-show ecc

Ma non è un caso che la tanto discussa ordinanza venga da un sindaco leghista. Quando si parla di casta, di partiti auto-referenziali, la Lega tenta sempre di defilarsi, si chiama fuori, come se non fosse parte del circo.
Agitando la folla al grido di “Roma Ladrona” è finita invece per governare proprio nella capitale tanto odiata, per 5 lunghi anni a fianco del nemico poi eterno alleato Berlusconi.

Da prima propagandava la secessione, mentre uno dei suoi leader invitava ad un utilizzo poco consono della bandiera nazionale (“il tricolore mettetevelo nel…”), poi si era impegnata per il federalismo, ma fallito anche questo ultimo obiettivo si è infine adagiata sulle poltrone di Montecitorio e ha utilizzato lo Stato e le Istituzioni a proprio vantaggio consolidando la propria forza soprattutto al Nord, dove è divenuta espressione di governo in molti Comuni del Nord-Est.


Restringendo i confini della democrazia reale, questa forza faticherebbe a trovare spazio, ma siccome in Italia nemmeno chi continua a commettere reati di apologia di fascismo (vedi Forza Nuova e movimenti o partiti satelliti) viene sanzionato, nessuno più si sogna di parlare di legittimazione di tali espressioni politiche.
La famosa ordinanza oggetto della questione, colpisce i cittadini stranieri anche comunitari che per ottenere la residenza nel comune di Cittadella, e quindi per godere di diritti, devono dimostrare un reddito minimo di sopravvivenza che il recente decreto legge (30-2007) in materia di sicurezza, emanato dal Governo Prodi fissa a circa 5.000 Euro.

Non mi voglio ora soffermare né sulla palese incostituzionalità dell’ordinanza riconosciuta da costituzionalisti di vecchio corso ma evidenziata persino dall’Unione Europea per una interpretazione faziosa di una sua direttiva, né sulla matrice razzista ed escludente di cui il testo della stessa è pregno (essa prevedeva infatti anche l’instaurazione di una commissione apposita che valutasse la “pericolosità sociale” dei vari soggetti), ma sono attento e preoccupato dalle possibili derive sociali di questi provvedimenti, che la politica talvolta esautora attraverso la propria azione anche quando governa il centro-sinistra, che dovrebbe avere per storia e tradizione un occhio di riguardo verso queste tematiche.
Mi spiego meglio, analizzando l’ordinanza e ascoltando argomentare i sindaci coinvolti, si scorge un paradosso politico; infatti, nel difendere il loro operato gli stessi citano il decreto legge, del governo, come prova della loro legittimità e buona fede, come avvallo al loro operato.

Vi ricordate come è nato quel decreto ?? All’indomani dell’uccisione di una cittadina italiana per mano di un rom romeno, il governo Prodi in fretta e furia emanò questo decreto come tentativo di risposta a quell’omicidio e alla situazione particolare di quegli stranieri (si affrontò quindi con rilevanza nazionale un problema specifico territoriale incorso in Lazio per la precisione).
Ma non possiamo trovare attenuanti o scuse per questo governo dovute all’eccezionalità degli eventi, perché è proprio la sua impostazione nella materia a confermare la sua responsabilità oggettiva.
Lo stesso inserì infatti il decreto in un pacchetto più ampio definito “sicurezza”, quello che lasciava intravedere nelle marginalità: lavavetri, prostitute, writer ecc. i nuovi pericoli sociali da arginare, banditi da sindaci per lo più di centro-sinistra (Cofferati a Bologna, Domenici a Firenze).
Il prodotto in salsa padana, di quelle decisioni, sono proprio le prese di posizione di tanti sindaci locali con a presso la loro schiera compatta di fedelissimi e di altri cittadini più o meno comuni, e l’ondata razzista che sta investendo il nostro paese.

Infine è comunque doveroso un richiamo alla Costituzione, investita da preoccupanti dinamiche e ripercussioni alla luce di questi fatti recenti.

La nostra carta costituzionale fu l’elaborazione di un lavoro congiunto che portò ad un risultato eccezionale e unico nella storia e cioè una quasi irripetibile convergenza che le diverse componenti politiche: liberali, cattoliche, socialiste e comuniste riuscirono a raggiungere attraverso ravvedimenti e intese di tutte le forze, e che poi sancirono i pilastri della Costituzione stessa.

I sindaci sceriffi e il clima che si vive oggi nella regione del Veneto in particolare, ma anche in altre zone dell'Italia settentrionale, denotano il sopraggiungere di una conseguenza secondaria ma non meno importante rispetto a quelle più pratiche dell’avvento di un razzismo profuso e intollerante e di una conseguente instabilità sociale. Tale effetto è individuabile nel progressivo e inesorabile sfaldamento e indebolimento di uno dei cardini sui quali la nostra Costituzione repubblicana è fondata, il concetto cioè di solidarietà costituzionale intesa nel suo significato di dovere costituzionale inderogabile che rende ciascuno responsabile dei bisogni altrui, connesso a sua volta ai principi di democrazia e libertà, con particolare riferimento ai diritti degli stranieri ma non solo.

Infatti al centro della famigerata ordinanza è il reddito, e la questione eterna dei poveri, che spesso sono italiani puri al 100%. Sembra quasi che il paradigma naturale dell’avversione agli stranieri sia quella per i poveri.
Vivremo un giorno in un mondo dove pure la povertà sarà bandita per legge?

Non si tratta di una provocazione e tanto meno di una realtà grottesca o fuori luogo, in Messico il regista Luis Estrada ha realizzato addirittura un film “Un Mundo Maravilloso” nel quale la pobreza (la povertà) viene combattuta da parte del governo statale attraverso una soluzione semplice e lungimirante: estinguendo i suoi protagonisti più scomodi e cioè i poveri !!
E se qualcuno prima o poi pensasse di fare lo stesso anche qui a casa nostra ?


Michele Bolzenaro











martedì 6 novembre 2007

Un popolo invisibile


Rom, Gitani, Tzigani, Sinti, Manouche nel linguaggio comune zingari, sono loro la nuova minaccia sociale da arginare con ogni mezzo, loro i responsabili delle paure della gente e dello stato di insicurezza delle città, insomma un nemico ripugnante per il quale a priori, non è conveniente e tanto meno giustificato instaurare un ponte culturale o un eventuale dialogo. Oggi questa nicchia umana, diventa l’ opportunità per molti, di riaffermare dei concetti di superiorità di cultura, di forma, di razza. Tali macabre insensatezze, parevano destinate a scemare, dopo lo scempio della guerra che distrusse il nostro paese nei vicoli e nei palazzi ma che non riuscì a sradicare il pensiero xenofobo e antisociale cullato da quasi trent’ anni di fascismo.

La gente comune, dove per comune intendo quella dei luoghi comuni, che non sa misurarsi con altre culture, afferma: “Non è pensabile di vivere in quelle baracche, ai giorni nostri, e poi i Rom, (che nella loro ignoranza scambiano per i rumeni), sono sporchi, puzzano, rubano, uccidono, a cosa servono?”

Ecco quest’ ultima, è l’espressione più infelice, più intollerante, più sciocca; è la dimostrazione più evidente che questa società che ci sforziamo di cambiare, è marcia più di chi persegue, è vittima di anni di progresso, all’insegna di una evoluzione basata solo ed esclusivamente sull’utilità economica, e giorno dopo giorno, trovandosi di fronte a nuovi bivi evolutivi, sceglie, peccando in riflessione e analisi, la strada più buia, dalla quale poi finisce sempre per dover tornare indietro.
Sarà così anche per i Rom, speriamo…

A dire la verità per questo popolo, la vita non è mai stata una passeggiata, sempre relegati ai margini della società, sin dalle loro prime migrazioni da un vasto territorio riconducibile oggi all’India e al Pakistan, sono stati perseguitati e in parte sterminati durante la seconda guerra mondiale. Hanno subito un olocausto in tutto e per tutto, che la Germania nazista, ha perpetrato nei campi di concentramento di Auschwitz o di Bergen-Belsen, per fare degli esempi, nomi tristemente noti per un altro genocidio, quello degli ebrei. Ma se a questi ultimi, è stato garantito persino uno Stato (Israele), con evidenti vizi di legittimità, i Rom, faticano a trovare un ritaglietto nei libri di storia e occupano appena un solo paragrafo nel lungo atto di accusa al nazionalsocialismo al processo di Norimberga.

Gli zingari in questo versante sono molto meno pretenziosi di altre identità etniche storiche, sia per la loro natura variegata perché innumerevoli sono le culture e le differenziazioni al loro interno, sia per il loro particolare spirito, tanto libero quanto antico, che li vuole in molti casi, viaggiatori e non sedentari, anche se definirli nomadi non è corretto per la percentuale molto elevata (la metà circa) che non si sposta di continuo ed è invece radicata da anni, nei diversi territori d’Europa.

Di seguito una poesia, che nonostante i caratteri dolci ed evocativi, sintetizza in modo lucido quello che ogni Rom, coltiva nel proprio spirito, un amore per la libertà vera, incompatibile con il mondo artificiale di oggi, dalla quale traspare un fascino quasi romanzesco, e una peculiarità umana di immenso valore, che penso sia utile conservare e mantenere, come patrimonio unico della nostra umanità.

Noi Sinti

Noi Sinti abbiamo una sola religione: la libertà. In cambio di questa rinunciamo alla ricchezza, al potere, alla scienza e alla gloria.Il nostro segreto sta nel godere ogni giorno le piccole cose che la vita ci offre e che gli altri uomini non sanno apprezzare:una mattina di sole, un bagno nella sorgente, lo sguardo di qualcuno che ci ama. É difficile capire queste cose, Zingari si nasce.Ci piace camminare sotto le stelle, la nostra è una vita semplice, primitiva. Ci basta avere per tetto il cielo. Un fuoco per scaldarci e le nostre canzoni quando siamo tristi.

Vittorio Mayer Pasquale, da "Lacio Drom", rivista di cultura zingara, 1973

I versi qui riportati collidono talvolta con le realtà critiche di alcune metropoli italiane, dove il problema della criminalità per lo più di basso livello, malgrado l’ultimo episodio di cronaca nera, che ha visto la morte di una donna romana per mano di uno stesso Rom, è talvolta legato alle pratiche di alcuni zingari, che includono oltre all’accattonaggio e all’elemosina, con forme di sfruttamento vere e proprie soprattutto ai danni di minori, il furto, lo spaccio, le rapine ecc.

Non è un fenomeno legato alla cultura, bensì alle condizioni di emarginazione che vivono gli stessi Rom acuitesi nel corso degli anni, e all’incapacità di questo sistema di includere i vari ceppi sparsi per la penisola in un ampio progetto educativo, che limitasse i fenomeni di sfruttamento minorile, rendendo la scuola l’alternativa costruttiva alla criminalità che spesso diviene un’esigenza e non una scelta di vita.

Entro i ranghi del popolo zingaro esistono sicuramente i criminali, come Nicolae Moilat l’assassino di Roma, ma è da respingere l’equazione che li vuole alla stregua sempre e comunque di delinquenti comuni.

L’intervento volto a portare migliaia di bambini zingari, fra i banchi di scuola, è il primo passo di integrazione su larga scala ed è praticabile con misure specifiche adottabili da regioni e comuni alle quali intrecciare il contributo prezioso che viene dal volontariato e dell’associazionismo.
Servono poi delle aree che siano in grado di ospitarli in modo dignitoso, dove non manchino i servizi più elementari, un po’ simili a quelle già esistenti per le soste dei tanti campeggiatori nostrani, che dispongono di roulotte ma non sono Rom.

A questi interventi pratici e immediati, dovranno seguire iniziative più prettamente culturali, che valorizzino i molteplici aspetti della cultura Rom spesso tristemente sottovalutati.

Personalmente dal mio studio della chitarra jazz, sono venuto a conoscenza di un mondo che mi ha affascinato e coinvolto tanto da diventare la mia prima passione in ambito musicale, sto parlando della musica manouche.
Ebbe origine dalla fusione del jazz d’oltreoceano (genere anch’esso definito una palestra di contaminazioni) e la tradizione del valzer musette francese nei primi anni 30’, grazie al contributo, in particolare di uno zingaro d’eccellenza Django Reinhardt, genio della chitarra. Da lì nacque un filone per il quale possiamo parlare di un genere a sé stante, che oggi è in continua espansione per l’opera di molti musicisti per lo più di etnia o tradizione zingara, soprattutto alle chitarre e ai violini, strumenti principi di questa musica straordinaria.

Facendo leva su queste realtà culturali sono possibili la creazione di percorsi che avvicinino la nostra cultura con quella gitana, per scoprire poi quanto siano sbagliate le nostre etichette, quanto siano ingiuste.
Potete trovare ulteriori approfondimenti e notizie sui Rom e il loro mondo a questo indirizzo:



mentre per chi desidera conoscere più approfonditamente la musica manouche, scrivetemi (michelebolzenaro@libero.it), posso mettere a disposizione del materiale audio-visivo di cui dispongo.


Michele Bolzenaro

mercoledì 31 ottobre 2007

G8 Genova: Assolto lo Stato!


Accanto alle stragi impunite e ai tanti misteri d’Italia per i quali la parola giustizia stride e invano attende una risposta che ne realizzi il compimento, un altro capitolo tanto amaro quanto irragionevole si è chiuso ieri, fra i banchi della Camera del nostro Parlamento, in via pressoché definitiva tenendo conto dei precedenti nefasti, ancora oggi imprigionati, sotto l’alone più cupo e sporco della storia di questo paese.

Stiamo parlando dei fatti di Genova e dell’omicidio di un giovane: Carlo Giuliani.
Per Carlo, la giustizia ordinaria ha già emesso la sua sentenza, in un processo per molti aspetti contraddittorio e iniquo, per il quale sono in tanti ad invocare la riapertura del caso.

L’esigenza di fare chiarezza e di individuazione delle responsabilità oggettive delle forze dell’ordine e dell’allora governo Berlusconi, sull’oltraggio e le violenze fisiche e psicologiche, subite da migliaia di persone, (si parla di una delle più grande negazioni collettive dei diritti umani in occidente), avevano accomunato gli aggrediti e gli aggressori; una parte consistente del sindacato di polizia infatti, si era espresso favorevole ad una commissione d’inchiesta parlamentare, come testimonia l’ultimo documentario di Carlo Lucarelli, trasmesso dalla tv pubblica sul G8 di Genova, andato in onda non più di 2 mesi fa.

La commissione avrebbe inoltre accolto le richieste di Amnesty International, che difendeva le migliaia di uomini e donne provenienti da ogni angolo del mondo, che si erano ad essa appellate per richiedere giustizia.

Insomma, l’istituzione di questo strumento d’inchiesta extra-giudiziale oltre che parte integrante del programma dell’Unione era un atto dovuto al popolo italiano e alle istituzioni internazionali, (citazione dal programma “basti pensare ai fatti di Genova, per i quali ancora oggi non sono state chiarite le responsabilità politica e istituzionale, al di là degli aspetti giudiziari, e sui quali l’Unione propone, per la prossima legislatura, l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta)

Ma è bastato un voto congiunto di Udeur e Italia dei Valori, che hanno votato con il centro-destra, per mettere una pietra tombale sopra ai tragici eventi di quei giorni.

La vergogna, per una simile decisione, si mescola in questo caso con la rabbia, e diventa una miscela di amaro che approfondisce la crepa fra cittadini e istituzioni, sempre più lontane e auto-referenziali, e incrini all’irresponsabilità e alla negazione della giustizia.

Ne abbiamo avuto prova con l’ultimo scandalo nell’inchiesta “Why Not”, che non è altro che un tentativo malriuscito di imbavagliare nuovamente la giustizia, e ne abbiamo tristemente la conferma con questa decisione, inglobata in un disegno politico più complesso che solo si intravede nel pacchetto sicurezza appena approvato, il quale tende a storpiare il concetto di giustizia stesso, mercificandolo e alterandolo e infine consegnandolo all’umore delle piazze.

Vengono adescate fra le marginalità sociali, lavavetri, rom, migranti, nuovi “mostri” divenuti a quanto pare il pericolo più imminente per la popolazione, e su queste tematiche alcune forze politiche monopolizzano le discussioni e i dibattiti su tutti i media.

A me sembra che stiamo perdendo la bussola, se invochiamo i poteri ai sindaci sceriffi, (Cofferati sta incarnando egregiamente il ruolo dello Schwarzenegger nazionale), mobilitiamo una città per lo sgombero di un centro sociale occupato, proponiamo il carcere per graffitari e mendicanti e non affrontiamo le questioni di giustizia con lo stesso rigore, indignandoci per questa ennesima burla alla nostra libertà e al nostro diritto naturale di giustizia, come è la negazione dell’instaurazione di questa commissione, allora stiamo sprofondando in un baratro, dopo il quale c’è solo una parola: regime.


Bolzenaro Michele

giovedì 18 ottobre 2007

Manifestiamoci




Cresce il fermento, per la manifestazione che si terrà sabato 20 ottobre e alla quale personalmente parteciperò, indetta attraverso un appello congiunto di Liberazione, Il manifesto e Carta, e poi organizzata e promossa dai partiti della sinistra che i media si ostinano a chiamare “radicale” (trovo che dietro a questo aggettivo discriminante, si instauri un tentativo maldestro di una certa parte politica e di opinione pubblica, di censurare un pensiero, un modo di pensare, un’affermazione umana semplicemente di sinistra, rea e colpevole di esserlo, a quanto pare…).

Un’attesa che ha un po’ il sapore dell’amaro, per sapere già in partenza che la compattezza del grande popolo della sinistra, che tanti compagni/e, ma anche che tanti cittadini e associazioni avevano auspicato, probabilmente non sarà garantita.

La mobilitazione si sa, per quanto giustificata, per quanto esigenza, nella sua fase di capilarizzazione e attecchimento di massa, ha bisogno di motivazioni concrete (e se fosse per queste ultime, forse nemmeno il centro di Roma potrebbe contenere un fiume umano, tanto imponente di delusi, afflitti, e critici di questa politica), dei giusti “traini”, e di condizioni particolarmente favorevoli.

Il “traino” storico di tante battaglie di sinistra, è e dovrebbe essere ancora, il sindacato, per la sua presenza nel territorio, ma soprattutto per la sua figura di garante che esso rappresenta.
Ma è già da diversi anni, che la sinistra, non può più contare sull’affidabilità di questa secolare istituzione, che vive una profonda crisi di identità nei confronti di chi rappresenta e cioè dei lavoratori stessi. A guardare il risultato del referendum sembrerebbe che questa crisi in realtà non esista, eppure andate a chiedere agli operai della Fiat di Mirafiori se si sentono rappresentati da questo sindacato e sentirete cosa vi risponderanno, lì e in molte altre grandi realtà industriali italiane, il referendum non è passato infatti.

Il sindacato ha finito per mutare la sua connotazione naturale di rappresentanza di una categoria, convertendo il proprio ruolo originario, in quello di una sorta di moderatore, come quasi se la contrattazione o concertazione che dir si voglia di tipo classico, abbia finito anch’essa per trasformarsi in un atto di compravendita. Si è ritagliato uno spazio, nel modello della nuova società “americana” prospettata da Double V Veltroni neo-promosso, nelle “primarie” di domenica (assolutamente prive di souspence), a cavallo della nuova creatura targata Partito Democratico, e non intende intralciare in alcun modo, i progetti e le ambizioni di quest’ultimo anche se a pagare saranno sempre gli stessi, anche se le “conquiste” (come gli stessi sindacati giudicano la bozza di proposta sull’accordo sul welfare firmato con il governo) per i lavoratori, saranno tanto pallide da ingiallire persino le carte sulle quali si riscrive e si modifica ogni giorno al ribasso, una proposta francamente già dal principio inaccettabile.

Politicamente poi, emergono i problemi di sempre, di una sinistra ancora lontana dalla nascita di un agglomerato forte, che non si riduca a un mero raggruppamento di ceti dirigenti di partiti, ma che individui un percorso unitario di valori, di intenti, di battaglie comuni, includendo i sindacati di base tristemente trascurati anche in questa importante occasione e che recuperi il rapporto con i movimenti, che vivono oggi una fase critica della loro esistenza, insomma che ritorni a essere sinistra.

Nonostante questi dati oggettivi sfavorevoli, la manifestazione del 20 ottobre, costituisce per molti, l’ultima occasione per dare una sterzata chiara ed inequivocabile all’impostazione dell’azione di governo. Chi ricorda oggi, a quasi due anni dal suo insediamento, il mancato rispetto, da parte dello stesso, del programma elettorale sottoscritto da milioni di donne e di uomini, rischia di apparire banale, “quando mai i programmi elettorali vengono rispettati?” diceva poche sere fa, al circo televisivo di Santoro un senatore dell’Ulivo…

Ai più distratti, o a chi come il leader della CGIL Epifani, fa finta di non ricordare, sintetizzo i punti salienti delle rivendicazioni.

Da prima il lavoro. Il precariato su tutto, è ormai una vera e propria piaga sociale, i giovani non riescono a progettare nemmeno un futuro a breve termine perché eternamente precari. Il termine di 36 mesi di periodo massimo consecutivo di lavoro a tempo indeterminato, fissato nel protocollo, ha il sapore di una farsa, e colpisce appunto i giovani che in tali condizioni in termini statistici non sono nemmeno più in grado di garantire al paese, una crescita demografica compatibile con il numero di anziani in costante ascesa, è a rischio di collasso l’intero sistema Italia.
Inoltre è impossibile posticipare nuovamente una manovra di redistribuzione della ricchezza e di aumento dei salari, il caro vita alle stelle infatti, non lascia scampo ai più deboli ai più indifesi, che aumentano sempre di numero e hanno invaso un comparto sociale che sino ad alcuni anni fa, versava in tutt’altre condizioni.

Di seguito, ma non meno importanti altre rivendicazioni di carattere “globale”, perché sono questioni per le quali guardare solo all’Italia è troppo riduttivo, e mi riferisco alla situazione dei migranti: superamento della legge Bossi-Fini e adozione in tempi rapidi della Amato-Ferrero una legge se non risolutiva per lo meno migliorativa, che limita lo stato di clandestino introdotto dal precedente governo, solo ad alcune tipologie di persone e non agki stranieri che lavorano nel nostro paese e pagano regolarmente le tasse, e per i quali promuoviamo inoltre il diritto di voto.
Poi, di altra natura, una seconda esigenza globale e umana, quella della pace. Un no chiaro e forte è venuto da Vicenza, al riarmo e alla possibilità di una nuova base militare nel nostro territorio, questa affermazione và difesa e sostenuta anche quando si parlerà di scudo stellare e di nuove guerre alle porte.

Poi ci sono i temi dell’ambiente, beni come l’acqua devono tornare a essere pubblici, e dei diritti civili, servono leggi che regolamentino le unioni, che blocchino la discriminazioni sessuali, e infine che pongano con forza l’esigenza di laicità dello Stato, perennemente posta in discussione dalle ingerenze del Vaticano.

Ma non è solo per sostenere queste grandi battaglie o per recuperare la dignità “tradita”, che molte persone (speriamo), riempiranno Piazza San Giovanni sabato, è infatti palese riconoscere che una fetta rilevante di partecipanti alla manifestazione di sabato, hanno già bocciato in via definitiva, il governo Prodi e saranno in piazza per ribadirlo, chi vivrà vedrà.
Michele Bolzenaro

mercoledì 10 ottobre 2007

Il Che attuale dopo 40 anni





In questi giorni, si stà celebrando un anniversario molto importante, il quarantesimo anno dalla morte del rivoluzionario per eccellenza: Ernesto Guevara de la Serna, meglio noto come Che Guevara.

La sua immagine di rivoluzionario, varcò presto i confini dell’isola Cubana dove già prima della sua morte era oggetto di culto per il popolo cubano e conseguentemente, la sua figura, raggiunse in tutto il mondo una notorietà ed una risonanza che a nessun altro uomo del novecento fu possibile in ugual misura raggiungere.

Questa mitizzazione del Che fu un elemento che lo accompagnò in vita, ma che si enfatizzò nel momento della sua morte, ed ancora è presente ai giorni nostri, dove l’evocazione del Che è stata abusata e prestata spesso alle dottrine del capitalismo, del quale proprio Guevara incarnava l’antitesi.

Quando venne ucciso da un gruppo di militari boliviani in circostanze che non sono mai state ufficialmente chiarite, (è ormai fuor di dubbio, che l’ordine di cattura e successivamente di morte sia stato pianificato dalla CIA statunitense e ordinato al governo boliviano militarista di Barrientos), gli furono scattate alcune foto, l’associazione visiva del suo corpo inerme con quella di una icona sacra come quella di Gesù Cristo, per molti non diede scalpore.

Un’altra sua foto però è quella che più lo inquadra dal punto di vista umano, ed anche obiettivamente la più famosa, la più usata, deturpata, modificata, osannata nella storia della fotografia, lo scatto fu di Albert Korda, fotografo personale al servizio di Fidel Castro, il comandante era appena salito sul podio durante un funerale di 140 cubani morti in un attentato esplosivo, chi era presente affermò che in quella occasione il Che era encabronado y triste (arrabbiato e triste). Nel volto del Che, e soprattutto nel suo sguardo sono impressi la tensione umana, la rabbia, la malinconia e la determinazione di un uomo che alla causa rivoluzionaria, prestò la vita, vivendola fino all’ultimo respiro con la coerenza del proprio spirito.

Dalla sua morte un proliferare di biografie e rivalutazioni del personaggio Guevara, hanno trattato delle sue gesta, dei suoi libri, e della sua ideologia.

Tralasciando gli scritti storicamente apologhi, prodotti per lo più sull’onda della rivoluzione cubana e sulla speranza di un cambiamento radicale che animò un’ intera generazione, e quelli dissacranti, pubblicizzati questi ultimi soprattutto nell’ultimo decennio (in Italia l’opera denigratoria è condotta dalla Mondatori di Berlusconi) cerchiamo di togliere, solo per un attimo, il Che dall’icona che lo affossa, per capirne a fondo la sua essenza e scoprire cosa ancora vive di lui attraverso milioni di persone, perché come afferma lo scrittore messicano Paco Ignacio Taibo II “la società produce migliaia di Che Guevara che poi lei stessa distrugge”.

L’attualità del personaggio guevariano è ancora molto presente, soprattutto nel continente che allo stesso rivoluzionario diede i natali, e in qualche punto ancora imprecisato di La Higuera in Bolivia ne conserva le spoglie, solo in parte recuperate alcuni anni fa, e cioè in America Latina.

Parliamo dell’America quella vera, che si estende tra infiniti paesaggi tanto diversi quanto suggestivi, dalla Terra del Fuoco in Argentina, alla frontiera di Tijuana in Messico, e andrebbe ancora più a Nord, infatti, molte delle terre, oggi appartenenti agli Stati Uniti, non sono altro che un prolungamento naturale del territorio messicano, ma per ragioni politicamente “scorrette” non lo diventarono. (vedi
http://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_di_Guadalupe_Hidalgo)
Il Che dimostrò di amare appassionatamente l’America, da prima cercò di capirla e conoscerla; battendola palmo a palmo con l’amico Granado, ebbe modo di vedere e comprendere le tante piaghe che la affligevano, più profonde di quelle dei lebbrosi, tanto che gli fecero maturare l’idea di lasciar perdere la sua vocazione di medico ormai prossima a concretizzarsi, per abbracciare definitivamente la causa della Rivoluzione, e gettare le basi per la formazione di un “uomo nuovo”.

Ora di questo uomo nuovo, un po’ se ne sono perse le istanze, eppure c’è uno stato dell’America dove si può respirare molto di più che a Cuba, o in Venezuela, l’aria del Ché, e questo stato è proprio la Bolivia.
Il suo presidente, “guevariano” da sempre, Evo Morales, indio aymara, ex sindacalista dei cocaleros (coltivatori di Coca) incarna la radicalizzazione del pensiero del Che ai giorni nostri.
Una radicalizzazione che ha abbandonato la logica della guerra e della guerriglia, trasformandosi in pacifista, ma che segue comunque il cammino percorso da Guevara, di sbarramento, alla eterna conquista del capitale e alla frode delle multinazionali del Nord in quelle terre, alle quali si sta ridando dignità attraverso politiche nuove e di cooperazione fra i vari stati dell’America centro-meridionale.

Il desiderio che animava il Che, di una unità di tutti i popoli latino-americani, non è attualmente una rivendicazione spuria, ma almeno nei rapporti e negli scambi economici e culturali sta apprestandosi a divenire realtà, tanto che in primis il Venezuela e la stessa Bolivia, alla quale probabilmente seguiranno altri stati, hanno dichiarato di voler cessare la propria dipendenza dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, in sostanza di togliersi di dosso l’influenza degli Stati Uniti e della loro ideologia di mercato neo-liberista, e stanno lavorando per l’implementazione del Mercosur un mercato autonomo, destinato ai popoli del Sud-America

Grazie al contributo di Che Guevara, l’America si sta riappropriando dei propri diritti, a cominciare da quelli, da sempre negati ai suoi nativi più rappresentativi e più veri, e cioè gli indios.
La voce di questi popoli, che sono un crogiuolo di etnie prezioso per l’intera umanità, si è levata come non mai negli ultimi anni, non solo in Messico che con il comandante Marcos rappresenta un po’ a livello globale il fulcro e l’epicentro delle rivendicazioni del popolo indigeno, ma anche in Ecuador in Cile ecc.

Il Che quindi rappresenta a queste latitudini, un vero e proprio riscatto, per tutta questa gente che pur in un mondo “globalizzato” e molto lontano da quello vissuto dal Che, non si dimentica di colui il quale seppe dare con la sua vita, un esempio tanto forte da resistere ed essere attuale anche dopo quaranta anni.

Mentre quindi nel sud del mondo, il vissuto del Che, è segnato, seppur in chiave simbolica, da una presenza pregnante e ricorrente, in un contesto di fermento politico e sociale, nel nostro occidente così tristemente stagnante da anni, il dibattito sul rivoluzionario è ostaggio dello scontro fra guevariani pro e contro da una parte, e dal simbolismo, prestato alla dottrina neo-liberista dall'altra, che ha iconizzato l’immagine del Che, in una serie infinita di gadget, oggettistica e quant’altro, che ha finito per trasfigurare la figura del Che svuotandola dei contentuti e relegandola entro i confini materiali di vecchi e nuovi cimeli.

Dal punto di vista della ideologia, poi, i critici mettono in discussione le conquiste pratiche del Che politico, eppure in tutte queste teorie effettivamente imperfette e incomplete che fanno da corollario alla sua vita, sono i fatti a consacrarlo nella storia e a renderlo attuale anche da noi, anche ai giorni nostri.

E’ di vitale importanza per la nostra generazione e per quelle future, recuperare la figura del Che nel suo versante più umano e più utopico, è quasi un’esigenza direi riaffermare questo lato di Guevara, in un mondo, il nostro, tristemente orfano di coerenza e sana drasticità, dove le parole e i fatti, vagano autonomamente finendo quasi mai per incontrarsi.

Michele Bolzenaro


martedì 9 ottobre 2007

Un Grillo per la testa…



E’ sempre così, quando nasce un fenomeno nel nostro paese, compresi quelli da “baraccone”, si imbastiscono cene mediatiche nauseanti alle corti di giornalisti, dai più faziosi ai più burloni, tutti al servizio del grande circo televisivo.

E’ interessante o meglio lo era, prima che si dicesse di tutto o di più, la manifestazione e il movimento, al quale, forse prematuramente è già stato dato un nome, noto come “grillismo”.

Il rivoluzionario, colui che inspirato da forti ideali, si faceva porta voce delle istanze degli oppressi, degli emarginati, dei poveri, si è tolto di dosso i fardelli delle armi e della lotta armata, ma ha finito per perdere pure la connotazione politica di sinistra (anche se ne incarna molte istanze) e ha le sembianze di un comico genovese.

Qualche sbadato, magari con i capelli bianchi potrebbe chiedersi “Ma cosa mi sono perso ??”“Di chi è la responsabilità di questa trasformazione ??” e ancora “Cosa c’è di positivo in questo fenomeno ??”

Beppe Grillo, non ha certo cominciato da oggi la sua battaglia contro molti luoghi comuni della politica, dell’economia e del suo sviluppo, ha imparato a conoscere le tecnologie che anche per lui, come per l’italiano medio, erano un tabù, si è servito di internet per creare una rete, come lui ama definire i suoi tanti popoli, e infine, devastante e dirompente assieme alla sua gente è sceso nelle piazze di tutta Italia, senza abbandonare la sua vena satirica presentandosi ormai agli unici che non lo conoscevano e cioè ai politici.

Ha indirizzato proprio su di loro, la sua critica più pungente, una serie infinita di vaffa, né troppo rossi, né troppo neri, forse troppi, comunque giunti ai destinatari senza particolari mediazioni, e quindi, obiettivo raggiunto si potrebbe dire… Una forma di democrazia dal basso, come se ne sente tanto parlare, una macchina organizzativa quella del Vaffanculo day dell’8 settembre, che ha coinvolto cittadini attivisti già da tempo su internet e sul blog di Grillo, i quali hanno potuto per la prima volta concretamente trasferire la loro protesta, nella piazza, da sempre termometro della condizione di vita dei cittadini, ma non sempre strumento ineccepibile rispetto all’oggettività del reale stato di salute della gente e delle sue ragioni politiche.

Per meglio spiegarsi, possiamo dire, che nonostante il forte contenuto politico dello show di Grillo, se, il governo Prodi, attualmente in carica non reggesse sotto le spinte neo-centriste di Mastella, o, la cappa difensiva architettata dal Partito Democratico, si dimostrasse fragile di fronte a un altro popolo che sento più mio (quello della sinistra radicale), pensate che la gente, votasse in massa per le liste blu, proposte dallo stesso comico, oppure che disertasse le urne in nome dell’anti-politica?

Probabilmente vi sbagliate, perché il “nano Berlusconi”, come lo chiama Grillo, non attenderebbe altro, scaltro e furbo come nessuno dei suoi fedelissimi, ha dichiarato che dopo lo scandalo di Tangentopoli, Forza Italia riuscì a captare il malumore della gente e la compromessa sfiducia nella politica attraverso il suo partito…Ora che dopo il ciclone Grillo i sondaggi lo vedono avanti di molti punti su Prodi, medita e sogna di come puntare l’azzardo, approfittando di una “gaffe di sinistra”.

La gaffe non è certo rappresentata da chi manifesta nelle piazze del Vaffanculo Day, come dice il Presidente della Camera Fausto Bertinotti “Una vecchia regola della politica è che i vuoti si riempiono. Il problema per la politica è riempire essa medesima i vuoti. Quando non lo fa, non è detto che i materiali con cui si riempiono siano materiali eccellenti, ma non ce la si può prendere con chi riempie il vuoto”.

Questa dichiarazione che sposo a pieno, sintetizza in maniera auto-critica, le defaians della politica, ma ne determina anche la sua possibile rinascita, partendo dal suo nucleo interno, e soprattutto dai contenuti. Quelli proposti da Grillo lasciano un po’a desiderare, o per lo meno, su due dei tre punti proposti e per i quali si stanno ancora raccogliendo centinaia di miglia di firme, sono ancora molto perplesso.

Da elogiare l’impegno per reintrodurre il sistema delle preferenze, negato ancora una volta dopo la ultima legge elettorale porcata di Calderoli (quello che vorrebbe il maiale-day per intenderci) che eviterebbe di avere come rappresentanti una schiera di personaggi nominati a libero arbitrio dai partiti, però sono molto critico sugli altri 2 punti.

Il primo riguarda la necessità di un “Parlamento pulito”, e la esplicita volontà presente nel testo di Grillo, di mandare a casa quei parlamentari che siano stati condannati in primo o secondo grado.Se a prima vista, questa potrebbe essere una richiesta del tutto lecita, bisogna segnalare che possiede un evidente vizio di incostituzionalità, per il fatto che nel nostro paese sino al terzo grado di giudizio si è considerati innocenti, e ciò è in contrasto con quello che si propone, aggiungo che esistono già leggi in materia che tutelano in modo equo e garantista in ambo i sensi, e cioè sia i cittadini che hanno il sacrosanto diritto di pretendere che chi amministra non sia un condannato definitivo e le persone che hanno commesso reati per i quali hanno scontato la loro pena, o hanno dimostrato in ultimo grado la loro innocenza, ovviamente in ultima analisi ricordo che non tutti i reati sono uguali, e quelli di corruzione non si possono ad esempio paragonare a quelli politici ecc.

Per il terzo punto invece che secondo la mia opinione è il più importante, e che prevede l’impossibilità dei parlamentari di essere eletti per più di due volte, devo proprio dire che non sono d’accordo.Il rischio di politici per dire di passaggio, non fà altro che aumentare la possibilità per gli stessi di non essere i protagonisti reali della politica, ma di divenire bensì i gendarmi degli interessi, di altri poteri forti radicati invece da anni, quali la Confindustria, le Banche, il Vaticano le Multinazionali, ecc.

Inoltre un turn-over “forzato”, sarebbe nocivo per gli stessi elettori, infatti, qualora paradossalmente, i parlamentari si dimostrassero capaci, dopo due legislature indipendentemente dal loro operato dovrebbero cedere il posto ad altri senza contare, che la politica soprattutto a livello nazionale, ha bisogno di gente preparata, (non come tanti degli attuali parlamentari) e non tutti sono in grado di fare i politici.

Per concludere, emerge, un quadro abbastanza inquietante dell’intero fenomeno, se per un verso ha rappresentato una manifestazione di democrazia partecipativa e di politica a un basso livello, possiamo affermare che sostanzialmente le scelte di Grillo si sono dimostrate incapaci di cambiare qualcosa, perché prive di un ragionamento più complesso che deve includere la politica e non desiderarne la sua estinzione.

Il binario, Grillo, critica politica ed economica, non passa per i concetti ancora chiave di destra e sinistra, e questa è la anomalia più latente, ma forse più importante, come si può criticare il precariato e in generale il mercato del lavoro senza avere in mente un modello di sviluppo economico che non sia neo-liberista?
A voi i vostri giudizi.


Michele Bolzenaro


Ultimi…anche per oggi

Salve a tutti, questo è il mio primissimo intervento, peccato che dai caratteri stilizzati del pc, non traspaia l’emozione perchè sarebbe veramente fantastico poter condividere pure questa con Voi, ma per ora mi limito a condividere le mie e le vostre idee ed impressioni su tutto ciò che ci circonda, su di noi umani e su chi fatica ad esserlo, sui microcosmi di questo pianeta alla deriva di una balia dopo l’altra, sulla bellezza della vita e sulle sconfitte quotidiane, sulle diversità del mondo e delle esperienze.
Insomma un laboratorio on-line che voglio sperimentare partendo proprio dall’ultimo posto, da chi ha molto da dare ma tanto ancora da imparare, da chi ama ascoltare senza negare a chi che sia di gridare quando è il caso, quando è naturale, quando viene calpestato, quando accadrà…
Sono i giorni di settembre del 2007, delle polemiche dei pro e contro Grillo, dei pro e i contro Partito Democratico, dei pro e contro che se togliamo questi prefissi non rimane niente, in questo spazio temporale mi è toccato di scrivere, non mi lamento ma non mi entusiasmo. Raccolgo l’obbiettivo e imbraccio la mia macchina da presa, mescolo con farina del mio sacco e esperienza a volontà, amalgamo con cultura e contro-informazione e provo di sfornare qualcosa di commestibile, senza badare che sia dolce o che piaccia a tutti, ma sforzandomi perchè sia trasparente e utile in primis a me stesso e poi spero per chi vorrà disporne.
Grazie fin d’ ora
MICHELE