Gli aggettivi utilizzati per questa parentesi nera, (la più tragica dal dopoguerra secondo molti), della Sinistra l’Arcobaleno, richiamano più che ad un risultato elettorale, ad uno scontro epico dove la sconfitta dei vinti assume dei contorni ideologici e assolotustici, da tragedia greca.
Per una volta la televisione, prova invano e ipocriticamente, ad essere dalla parte di chi non ha voce, cosa che non ha saputo garantire durante tutto l’esito della campagna elettorale: i complimenti a Bertinotti di Bossi a Porta a Porta, sono un’amara considerazione “Faccio i complimenti a Bertinotti uno dei pochi ad aver conosciuto veramente qualche operaio” alla quale Fausto, accenna un sorriso carico di nostalgia e di amarezza.
Quindi scendo da casa, un giro per il centro, una battuta con i pochi compagni che hanno la voglia di scambiare un’impressione, seppur con il cuore gonfio di dolore misto a rabbia, ma è ancora sfogliando i giornali che si ha la proporzione reale del ciclone che in una tornata elettorale, cancella la sinistra dalle istituzioni centrali e dalla politica convenzionale.
Le presa di coscienza del risultato disastroso, non tarda a venire, tutti i compagni dal primo all’ultimo ripetono il loro mea culpa, cosa che non viene nemmeno in mente a Veltroni e al Partito Democratico, intento a cullare un sogno americano riuscito solo a metà, e cioè nel suo lato più folle, quello di eliminare la sinistra e la sua identità storica dal panorama politico parlamentare, assicurando all’Italia un sistema bipartitico non canonico per la presenza al Nord del ciclone Lega, che seppellisce apparentemente anni di lotte, di esperienze, di radicalità, di conquiste sociali insomma di sinistra.
Di fronte alle prime ammissioni di responsabilità, sono ancora più depresso e sconsolato, “allora”, mi vien da pensare “era chiaro anche a loro che il progetto della sinistra arcobaleno era nato con troppe mozzature e soprattutto in ritardo…” .
La verità è questa, persino la dirigenza meno illuminata aveva dei sentori negativi, c’era chi, molti fra il Pdci, disertava le riunioni e ostentava fiducia anche nei comizi, non a caso lo stesso partito, quando i voti si rendono definitivi, è il primo ad annunciare il suo possibile abbandono del progetto arcobaleno.
Nella tristezza del momento sono “felice”, per lo meno, che le prime indagini avvengano all’interno del movimento stesso.
Le cause come sempre nelle sconfitte sono molteplici, cerco di riassumerle brevemente.
La sinistra unita e plurale, un’utopia lungi dall’esistere….
Intanto i modi e i tempi di questa unione della sinistra sono apparsi lenti e artificiali.
Lenti perché sono stati sorpassati dalla scelta del Partito Democratico che si è mosso più rapidamente e artificiali perché hanno creato delle rappresentanze con una modalità francamente impensabile per una forza che afferma la necessità di operare scelte partendo dalla base, e cioè, ricalcando quelle che erano le percentuali e il peso in termini di voti espresso da ogni singola forza dello schieramento in maniera pedissequa nelle schede elettorali, esattamente ripartite quasi con rigore matematico fra i vari esponenti di Verdi, Comunisti Italiani, Rifondazione e SD.
I simboli a volte valicano i progetti e le idee…
L’abbandono della falce e del martello, se per molti (me compreso) era un’opera includente nei confronti dei coloro i quali non avevano accumulato quella determinata esperienza ma comunque non se ne discostavano nei fatti, è invece risultato controproducente in termini di voti assoluti.
Infatti molti compagni legati alla simbologia e non necessariamente adescati fra i più anziani, si sono rifiutati per lo più di andare a votare, mentre altri (molti meno, analizzando l’1 per cento totale accumulato da Partito Comunista dei Lavoratori e da Sinistra Critica), hanno optato per altri partiti comunisti minori.
Su tutto poi aleggia il fantasma di Prodi….
La partecipazione al governo Prodi da parte di tutta la sinistra parlamentare che ha poi dato vita alla Sinistra Arcobaleno, ha trascinato la stessa in una spirale impopolare, vissuta in tutto l’elettorato ma che ha spezzato definitivamente e inesorabilmente l’ala più radicale della coalizione.
Il voto positivo al rifinanziamento delle missioni militari in Afghanistan, la mancata creazione della commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti di Genova, per non continuare con il pasticcio sui Dico e sul campo dei diritti civili, la mancata redistribuzione del “tesoretto” ai lavoratori e ai pensionati ecc. ecc., hanno in ordine reso su posizioni sterili e comunque non rappresentati, i pacifisti, i no-global, i gay e le lesbiche in una parola sola i movimenti antagonisti a questo modello sociale e di sviluppo, che si erano saputi intrecciare con la sinistra in modo positivo, nel passato ormai remoto.
Ma soprattutto e non a caso per ultimi i lavoratori, come ha dipinto spesso un’immagine astratta che Bertinotti ha usato spesso nella campagna elettorale, “all’indomani della tragedia della Thyssen Krupp, ho percepito la distanza dei lavoratori dalle istituzioni, come a dire noi qui dietro ai cancelli a soffrire e a morire per un lavoro, al di là voi e tutto il resto”, dentro a questo “tutto il resto”, purtroppo c’è anche la Sinistra Arcobaleno, che probabilmente anche per la sua partecipazione al governo non è riuscita a creare un canale diretto con i lavoratori. Gli stessi poi sentendosi abbandonati da un organismo attento più al rischio di non fare brutta figura con gli alleati che alla difesa di un sacrosanto diritto come quello di non morire nei luoghi di lavoro, hanno preferito disperdere i loro voti o hanno scelto semplicemente di non recarsi alle urne.
Infine ma non meno importanti, degli eventi contingenti che hanno in qualche misura anch’essi influito sul risultato finale, anche se a mio avviso in misura non preponderante se non altro perché le percentuali di sinistra arcobaleno sono talmente basse da non poter giustificare l’exploit dell’Italia dei Valori e della tenuta tutto sommato dell’Udc, soggette entrambi assieme alla Sinistra, allo stesso svantaggio e cioè quello della campagna per il voto utile che ha accomunato Veltroni e Berlusconi, con il bene placido di tutti i grandi media nazionali che hanno relegato tutte le forze esterne al duopolio, al ruolo di comparsa.
Sin qui alcune considerazioni politiche e pratiche degli avvenimenti.
Cercando di analizzare la sconfitta in modo meno spassionato e al di fuori delle alchimie della politica Vi pongo alcune riflessioni personali che servono a giustificare oltre che la situazione allarmante del risultato elettorale anche l’emergenza culturale che vive questo paese.
La crisi culturale che da anni affligge il paese, della quale non è affatto immune né la sinistra, né il suo popolo, ha radici ben profonde e radicate nella società.
Senza scomodare gli anni 60’-70’, nei quali la spinta culturale forte, aldilà dei limiti e degli errori prodotti dagli uomini di quel tempo, interrogava una intera generazione sulla strada da percorrere e sulle scelte che in qualche modo alimentavano le speranze di donne e uomini verso un’alternativa di società, per il nostro presente dobbiamo parlare di desertificazione culturale e di una sorte di abbandono di tale ipotesi.
Nonostante la storia tenda a ripetersi, e i bivi evolutivi nuovi ricordano spesso quelli passati recenti o remoti, l’atteggiamento culturale oggi da parte nostra è molto diverso.
Sembra che l’idea radicale che deve stare alla base della nuova sinistra che verrà, di un cambio drastico della società e quindi del suo modello economico, sia demandata a qualcun altro o a qualcosa che deve avvenire ma nessuno sa come e con quale modalità.
La nostra politica deve partire proprio da questo. Qualcuno dice che le ideologie sono morte, io dico che bisogna farle rivivere, ed è questa la nostra sfida.
Certo con un occhio critico al novecento, alle sue conquiste e ai tanti sfracelli dei quali anche noi siamo stati responsabili, ma il filo conduttore di tutte le nostre lotte deve riprendere ad avere una meta anche fisica ben precisa.
Individuerei questa meta, nella lotta per sconfiggere il neo-liberismo, il modello economico che su larga scala produce morte e disastri, o come da noi desertificazione culturale e disgregazione sociale.
Pensiamo per un attimo ai cavalli di battaglia di Berlusconi: democrazia e libertà.
Le due parole che di per sé esercitano un grande fascino in tutti gli uomini, abbondano nei comizi e nelle dichiarazione adottate dal PdL, in particolare il concetto di libertà subisce una continua manipolazione da parte di tutta la classe dirigente che difende l’idea di fondo per la quale le libertà individuali siano garantite dalla libertà di mercato e di scambio, nonostante sia ciò fondamentalmente falso a tutte le latitudini del mondo, persino negli Stati Uniti.
A questo tentativo di tenere vivo un sogno forviante negli italiani come negli altri popoli, noi dobbiamo energicamente e con molta pazienza creare un’alternativa.
Il modello neo liberista, assicura a tutti la possibilità di coltivare l’aspirazione di un benessere e di un miglioramento del livello di vita, questo miraggio che solo pochi riescono effettivamente a raggiungere è comunque appagato dalla realizzazione immediata di qualche bisogno materiale, meglio se inutile e improduttivo, che finisce per ingabbiare le menti e il pensiero critico della gente dentro i confini materiali di qualche diavoleria tecnologica, piuttosto che di un’automobile fiammante o comunque nei beni di consumo.
Il “materialismo” sappiamo và a braccetto con un'altra parola: “egoismo”, e questa Italia da Nord a Sud, lo è sempre di più, vanno smarrendosi concetti di solidarietà e condivisione che stanno alla base dell’uomo e di una iniziativa di sinistra.
Quindi ripensare il progetto della sinistra in Italia è d’obbligo, ma personalmente penso che se questo vuoto culturale non viene colmato, le discussioni sterili sulle leadership e sugli assetti politici lasciano il tempo che trovano e rischiano di far franare anche ciò che di più prezioso la sinistra ha prodotto nel corso della storia, e cioè una cultura critica che guarda al mondo globalizzato con occhi di pace, ma allo stesso tempo di lotta e di speranza.
Michele Bolzenaro